Primo maggio 2016, non siamo più quel lavoro

La mitologia del lavoro che oggi si vivifica, grazie a sindacati che vedono la maggior parte dei loro aderenti raggiunta la soglia della pensione, come sopravvivrà a un mondo dove l'automazione e le intelligenze artificiali renderanno l'intervento umano sempre più limitato e persino ininfluente, almeno in ogni processo produttivo non intellettuale o di carattere relazionale. Domani si potrà dispensare le persone da ogni mansione routinante e logorante e, anziché profittare di una ricorrenza simile, per discutere delle forme future del lavoro, dei suoi aspetti, della identità, vedo affollarsi sui giornali, sulle bacheche dei social network immagini dei primi del Novecento di operai, catene di montaggio, miniere, torni manuali e presse. 
Non siamo più quel lavoro. Il mondo in cui viviamo è quello dell'esclusione, un mondo che dà compimento a una gestione razionale dei processi produttivi. L'esclusione di cui parlo riguarda tutto ciò che, in virtù del progresso tecnologico, si fa superfluo. Pare però che la risposta, per molti, sia una specie di luddismo nostalgico: l'innovazione non può essere arrestata né rallenterà - è ora di farsene una ragione. Il problema è, semmai, che questa è guidata in buona sostanza dalle forze del capitale senza che un discorso politico e ideologico - diffuso - la riguardi, siamo ostaggi di soggetti sovranazionali che non incontrano, su questo stesso livello, una concreta opposizione ai loro disegni.

Del resto nell'epoca del pensiero unico - l'uomo prende parte alla società solo a mezzo del lavoro e il lavoro è la liturgia del denaro, per dirla à la Benjamin e alla Agamben. Il lavoro è un dispositivo di controllo che uniforma la vita spirituale di ognuno di noi - le nostre urgenze si traducono nel perverso meccanismo che vede i nostri sforzi concentrati sul far coincidere l'attività professionale con il valore intrinseco della nostra esistenza - buono e ricco tendono, così, pericolosamente a sovrapporsi - è, né più né meno, la protestantizzazione della società. Per questo motivo mi ripeto spesso le parole di Enrico Medi, un fisico cattolico: "bisogna liberare l'umanità dalla servitù del lavoro" e tornare all'attività intellettuale, all'opera; il pericolo è, altrimenti, che ogni frutto dell'ingegno che non si possa economizzare, ridurre alla squallida misura, veda il suo prestigio del tutto offuscato.